Cena di famiglia
Oh mamma. Mi sento come quando a una cena di famiglia ritrovi un cugino dopo tanti anni: c’è una familiarità nell’aria, ma nello stesso tempo quasi una timidezza, e una domanda sottesa: “di che parliamo adesso?”.
Sento anche di venire un po’ “a mani vuote” oggi: in questi mesi non ho letto niente, ho guardato solo la seconda stagione di Sanditon e ho visto solo due film, “Donnie Darko” (2001, dir. Richard Kelly) e “La pazza gioia” (2016, dir. Paolo Virzì) - quest’ultimo davvero consigliato; ho anche scritto molto poco.
Come in quelle cene di famiglia, ci si sente sempre in “dovere” di dire cosa si è fatto (in questo caso non), come per giustificare una qualche buona gestione del tempo, forse: che assurdità, vero? Eppure è un meccanismo che quando ci riuniamo o relazioniamo è così naturale, anzi meglio “così automatico”.
E, allora, se provo a cambiare domanda, quella che anche a voi vorrei rivolgere, chiedendomi “come mi sono sentita in questi mesi?”, rispondere diventa più sfumato e fumoso, ma mi vengono anche in mente tante piccole cose che, diversamente, forse, “passerebbero inosservate”.
Cosa ho sentito?
Potrei raccontarvi come mi ha fatto sentire un bibliotecario dell’università, quando una mattina presto, vedendomi stanca, mi ha incoraggiato con un “dai”; come mi sono sentita quando una ragazza in bagno si è stupita e mi ha sorriso, dopo che le avevo augurato semplicemente buona giornata. Dirvi come è stato trovare in giro delle poesie di sconosciuti, come una sembrava scritta apposta per me, per quel giorno che stavo vivendo. Come è stato, ogni giorno, sentire alla stessa ora una signora e un ragazzo più giovane ritrovarsi con i propri cani davanti alla mia finestra, nella passeggiata mattutina, quando il resto del mondo è ancora addormentato e l’aria sembra abbracciarti in una coperta fresca, ed esserne sempre felici nonché trovarsi sinceri nello scambiarsi quelle due parole di rito. O dirvi di quella volta in cui sono riuscita a piangere, singhiozzando finalmente, quando per sbaglio ho fatto cadere una piantina e il suo vaso si è rotto, quanto in quel momento ne avessi bisogno. Come è stato vedere un’amica senza più un peso invisibile addosso, tutti i suoi passi, e un’altra sposarsi, in una festa dove non c’erano mascherine o distanze, dove alla frase “non è scontato” ho sentito di nuovo quanto fosse vero: essere lì, essere qui. Potrei rispondere alla domanda, dicendovi come è stato sentirmi viva e raggiunta durante una lezione di dottorato e rassegnata e sfilacciata, invece, in una sera con un tramonto bellissimo. Mi sono sdraiata sul prato questa primavera, sotto le magnolie di casa, dopo tantissimo tempo: ho sentito il rumore che fanno i petali quando cadono - non ci avevo mai fatto caso e voi?, e guardato il cielo, mentre con una mano sul torace seguivo il mio respiro. Potrei dirvi come mi sono sentita fatta di tante maree, esposta alla profondità della mia umanità e di quella degli altri, come un sassolino alle onde, continuamente sospinto verso una riva, ma mai destinato a chiamarla casa; ma anche “conclusa”, grata, esausta, ma di una stanchezza diversa. Mi sono sentita fortunata, mentre pattinavo al parco: ho ringraziato le mie gambe e sentito quante cose non do più per scontate. Quando una sera ho visto le lucciole in giardino, ho sentito che una nuova estate era arrivata e una mattina ho invidiato la capacità di essere felici dei bambini, quando ho sentito una di loro esclamare alla mamma “è finita la scuola”: ho sentito quanto sia prezioso questo sguardo sul mondo, conservarlo o almeno provarci. Potrei raccontarvi di come ho sentito il cuore pesante quando sono andata su google maps per vedere se riuscivo a ritrovare mia nonna, in giardino oppure sulla sua solita sedia davanti alla porta e di come ho sentito vicino quel cucciolo di cornacchia che non riusciva a volare, di come tifassi per lui, che riuscisse a spiccare il volo, mentre assieme ai gatti lo guardavo dalla finestra chiusa. Dirvi di come una notte in cui tutto era troppo mi sono sdraiata sull’erba e ho guardato i pipistrelli giocare con le stelle: dei desideri muti che ho espresso. Mi sono sentita anche molto indietro, molto “Alice nel paese delle meraviglie”. Mi sono sentita troppo o niente. Vi racconterei di come ho amato scrivere la tesi, di come non mi senta più in imbarazzo a salutare i cani per strada, perché la vita può essere pesante e di leggerezza non ce ne è mai troppa. Mi sono sentita fatta di qualcosa che non troverà mai corrispondenza, ma anche vista intellettualmente. Ho sentito quanto amo il profumo di erba e sole che rimane sui miei gatti quando sono stati tanto in giardino. Potrei raccontare come mi sono sentita quando ho rimesso un vestito che non indossavo da tempo o davanti a una amica che ha passato qualcosa che vorrei poter cancellare. Come è stato quando mi hanno detto “Non hai capito niente” e quando, invece, mi hanno detto “Grazie per quello che sei”. In questi mesi, ho sentito la gioia di condividere la felicità di una nuova vita, dei progetti e sforzi delle persone che amo, dei loro sogni e delle loro tregue. Anche la solitudine del piangere in biblioteca (ma hey, ho testato il mascara organico nuovo e resiste notevolmente). Mi sono sentita quercia e salice piangente, ho sentito vicine persone lontane, quanto casa può essere il profumo del gelsomino a maggio, e che si può trovare forza in uno sguardo di una sconosciuta.
Ho sentito anche tantissime altre cose, in questa condanna e dono che è la sensibilità, questa città di strade invisibili che non sai dove ti portano: alcune impari di non poterle più percorrere, altre ti portano a rifugi e altre ancora a precipizi.
Cosa ho fatto in questi mesi? Alla cena di famiglia, risponderei con un “ehm, ho studiato e scritto la tesi per laurearmi”. Il tempo, se vogliamo, possiamo scandirlo così.
Qui, però, siamo a sensibilandia e quindi, ecco, mi sono sentita anche così in questi mesi. E un po’ di vita, se vogliamo, ve l’ho raccontata così.
E voi, come vi siete sentiti?
In ultimo, grazie di essere rimasti qui: quando ho riaperto l’email, è stato bello notarlo e ai nuovi arrivati — non so come o da dove — è stata una sorpresa di bentornata inaspettata e vi ringrazio davvero di aver deciso di fare “due passi” a sensibilandia.
Un abbraccio,
e buona serata.
Sensibilandia, di nome e di fatto.
Le parole sono il solo modo che conosco per srotolare i gomitoli che abitano le mie città invisibili: le leggo, le scrivo, le ascolto - e così, sempre, le “sento”.
Sono liquide. In movimento, sempre. Mai relegate a una carta stampata o a una voce. O a una email. Cambiano solo forma, prendendo perfettamente il posto che si trovano davanti, come l’acqua, come i gatti. E per quanto tu possa prevederle, programmarle, sono loro, in realtà, a chiamare te.
La magia è che, per ognuno, questa chiamata può dire qualcosa di diverso.
Vi affido queste parole e vi ringrazio tantissimo di avere scelto di leggerle; magari sosteranno un po’ in voi, o forse no, ma mi piace pensare che, in qualche modo, il loro viaggio continuerà. E, se pensate che possano “dire qualcosa a qualcuno”, sarei felice che le condivideste con quella persona.
Amo il contraddittorio, la dialettica e il “mantello della invisibilità” che ci da internet, spesso, e che ci permette di condividere di più, di aprirci di più e, così, di trovare persone con la nostra stessa sensibilità: se avete voglia di “inviarmi il vostro gufo”, rispondere, condividere qualsiasi cosa, dunque, mi trovate “qui” (o sui social).