Di no(t)te.
Le note del telefono.
Mi sorprenderei se incontrassi qualcuno che non le utilizza. Per me, sono come un ripostiglio, di pensieri più o meno urgenti. Antri di cuore. Alcuni aperti, altri, invece, che condividerli sarebbe come uno strappo e allora restano musei di parole che posso visitare solo io.
Oggi è l’11 Settembre, una data che non è più solo una data; la Storia, dal 2001, non le ha più concesso quel lusso.
Mi riporta a una notte.
Mi riporta a una nota.
A questa nota qui, di sei anni fa.
“L'11 Settembre ero una bambina e davanti alla TV, dopo che mia madre mi aveva detto che non avrei potuto guardare i cartoni perché c’era una notizia importante che doveva ascoltare, ho guardato qualche immagine delle Torri in fiamme, senza capire veramente. Ieri notte stavo guardando l'amichevole Belgio - Italia, mi ero appisolata a fine secondo tempo, per poi svegliarmi dopo alcuni minuti. Aperti gli occhi, però, non correvano le immagini della partita, ma c’era il telegiornale con la scritta “breaking news” su una banda rossa. Ero ancora, come allora, con gli occhi puntati sullo schermo, ma questa volta vedevo le immagini, sentivo le notizie e capivo. Capivo l'insensatezza di ciò che era accaduto, ne sentivo l'orrore. Persone in un bar, ad un concerto, uccise o che rischiavano la vita per un gesto insensato. La Francia veniva colpita “mentre dormiva”, nella quotidianità di un Venerdì sera dove ci si sente al sicuro. Ho capito e ho avuto paura. Perché non sono più una bambina e so un pò di cose in più, so un pò di Storia, so come siano difficili le relazioni diplomatiche perché si agisca assieme, come l'economia complichi tutto, come il terrorismo sia legato a una cultura che può dilagare e che non si può controllare, so cosa può fare la paura e so come tutto questo sia difficile da pensare e da conciliare con il dolore e lo sgomento di fronte a delle vite spezzate. Adesso so come può essere difficile reagire, come ci si può impiegare anni e come tutto questo abbia sempre un costo, in un modo o nell'altro. Perché non è come nelle favole che, dopo qualche peripezia, il bene vince. Perché non c'è nessuna bacchetta magica. So che nella Storia non c'è mai un “vissero sempre felici e contenti”. Ci sono tanti conflitti nel mondo, tante preghiere da fare per tanti popoli; gli attentati di Parigi li sentiamo più vicini, per tante ragioni, forse più geografiche, forse per il fatto che è una città come le nostre, una sorella capitale europea. Ho spento la TV e mi sono infilata sotto le coperte, e questa volta anche in Italia, anche a casa mia, nel mio letto, mi sono sentita meno al sicuro. Perché ho la consapevolezza che la spietata insensatezza di gesti così può arrivare ovunque e che non si può ragionare con chi “è privo di senno” a tal punto da disprezzare la vita. Non ci si può appellare alle Convenzioni di Ginevra, non ci si può appellare a niente; è stato un nuovo attacco al senso di essere umano. Il terrorismo che twitta sul social la propria vittoria non puoi estirparlo davvero con la forza, ma solo colpirlo, perché il suo germe puoi sconfiggerlo solo con la cultura, l'insegnamento ai valori umani. Ma nessun studente apprende se non vuole, nessun studente applica davvero, sa applicare e soprattutto tramandare, quello che gli è imposto e il tempo scorre con le sue conseguenze. Si guarda con sgomento a quello che è accaduto, che sta accadendo, e non ci si può che domandare come reagire, senza cadere nello stesso (or)errore.”
Ho ritrovato questa nota di recente — non ho voluto cambiare niente, anche se oggi userei parole diverse e tanti altri ragionamenti e approfondimenti sarebbero da fare; è stato come ritrovare un pezzetto di Storia che ho vissuto anche io e mi ha fatto impressione, pensando anche a cosa è successo e a cosa non.
Come altri giornali, Internazionale ha riportato che l’8 Settembre è iniziato il processo contro i 20 imputati superstiti degli attacchi terroristici di quella notte del 13 Novembre 2015. Nell’articolo, segnala un documentario al riguardo.
“Il documentario di Francis Gillery realizzato per la rete franco-tedesca Arte (e disponibile su Arte Italia con sottotitoli in italiano) cerca di far luce sugli avvenimenti di quella notte, grazie anche alle testimonianze di Manuel Valls e Bernard Cazeneuve, ai tempi primo ministro e ministro dell’interno della Francia.”
Sensibilandia, di nome e di fatto.
Le parole sono il solo modo che conosco per srotolare i gomitoli che abitano le mie città invisibili: le leggo, le scrivo, le ascolto - e così, sempre, le “sento”.
Sono liquide. In movimento, sempre. Mai relegate a una carta stampata o a una voce. O a una email. Cambiano solo forma, prendendo perfettamente il posto che si trovano davanti, come l’acqua, come i gatti. E per quanto tu possa prevederle, programmarle, sono loro, in realtà, a chiamare te.
La magia è che, per ognuno, questa chiamata può dire qualcosa di diverso.
Vi affido queste parole e vi ringrazio tantissimo di avere scelto di leggerle; magari sosteranno un pò in voi, o forse no, ma mi piace pensare che, in qualche modo, il loro viaggio continuerà. E, se pensate che possano “dire qualcosa a qualcuno”, sarei felice che le condivideste con quella persona.
Consiglio della settimana — “temi sensibili”: il 10 Settembre è stata (come ogni anno e a livello internazionale) la Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio. Si tratta di una tematica e realtà tragica e complessa; informarsi e parlarne non solo può fare sapere che si può chiedere aiuto, ma, in radice, aiuta a combattere l’ignoranza su questo tema e i pregiudizi che vi nascono, può rappresentare una “porta empatica”, un “terreno sicuro”, per chi avesse bisogno di parlarne; può aiutare a legittimare una realtà che non dovrebbe averne bisogno e stimolare e portare a riflettere su questioni molto importanti ad essa legate, come la possibilità effettiva di accesso alle cure per sofferenze psicologiche e malattie mentali.
“Cliccando qui”, il sito della Associazione Internazionale per la Prevenzione del Suicidio.
Inoltre, sul catalogo Netflix, potete trovare il film “Raccontami di un giorno perfetto” (2020), tratto dall’omonimo romanzo (in inglese “All The Bright Places”) di Jennifer Niven: al di là di qualsiasi critica si possa fare, dei limiti che questo film possa avere o meno, è positivo che si sia cercato di “avvicinare” e affrontare il tema delicato, doloro, esistente e stigmatizzato della salute mentale — soprattutto, pensando al target di età a cui è rivolto.
Parole che mi hanno colpito — @tlon.it su instagram:
Una relazione sana è un incontro tra cantieri: in amicizia, al lavoro, in amore, vince chi riesce a spogliarsi delle sovrastrutture attraverso le quali di solito ci si relaziona e a mostrarsi per quel che si è, ossia uno spazio con il cartello “lavori in corso” costante, aperto allo sguardo dell’altro. Perché è molto più importante un buon incastro dei difetti reciproci che l’incontro tra pregi. Disposti a essere l’uno l’umarell dell’altro.
Amo il contraddittorio, la dialettica e il “mantello della invisibilità” che ci da internet, spesso, e che ci permette di condividere di più, di aprirci di più e, così, di trovare persone con la nostra stessa sensibilità: se avete voglia di “inviarmi il vostro gufo”, rispondere, condividere qualsiasi cosa, dunque, mi trovate “qui”.
Un abbraccio e buona domenica.