“è solo”: in questi anni me lo hanno detto spesso. è solo questo, è solo quello.
“solo” perché ci sono tante cose che “solo non sono” e io lo so, lo sapevo, in una di queste c’ero.
ma tanti “è solo” non sono “solo” — non sto scrivendo a caso, davvero.
un buco, due buchi. ne tappi uno, con cura, pazienza, lacrime speranza tenerezza rabbia solitudine amore. e un altro buco cede e tu prendi acqua.
e, insomma, è un po’ estenuante, soprattutto se per costruirti quella barca hai dovuto vedere il lutto di una versione di te stessa.
penso al mio corpo, a quante ne ha passate. a quante gliene ho fatte passare e ancora lo faccio, per certi versi. lo vedo un po’ come la bambina che, quando sporca la tovaglia, guardando sua mamma, dice “è solo un po’ di pomodoro”.
solo una macchia, va via con la lavatrice, no?
da bambini, e non solo, capita di sporcare la tovaglia.
e al mio corpo devo lasciare essere un corpo, un corpo che “sa tutto”, che ho abbandonato per molto tempo e che ora mi dice “hey”,
“hey, è solo”
va bene corpo, hai ragione. e grazie grazie grazie.
è “solo” che sono stanca.
E, forse, è per tutto questo che mi sto affascinando sempre di più di quei libri, specie di divulgazione, che mi aiutano a capire “come funziona il nostro corpo”, di quei libri che mi aiutano a capire come aiutarlo, il mio corpo.
Anche per questo aspetto, penso: la consapevolezza è necessaria per poter essere liberi.
Siamo passeggeri ignari del nostro corpo, ma — colpo di scena — ne siamo allo stesso tempo i piloti. Se non ne conosciamo il funzionamento, è come se volassimo alla cieca.
— La rivoluzione del glucosio, Jessie Inchauspé
Ho acquistato “La rivoluzione del glucosio”, scritto da Jessie Inchauspé e tradotto in italiano da Nicola Ferloni (ed. Vallardi), su Vinted (e ammetto che ieri ne ho acquistato un altro, sempre su quella meravigliosa piattaforma — comprate secondhand, se e per cosa potete!) e mi sta piacendo tantissimo. Mi sono ritrovata in cucina, lavagna e pennarello in mano, a spiegare a mia madre quello che avevo imparato — questo tipo di dopamina qui, quella che deriva dall’imparare cose nuove, è ciò che voglio nella mia vita.
Ma a proposito di bambini e tovaglie macchiate, come quando ero piccola, in questi mesi mi sto ritrovando ad aspettare anche le “uscite in edicola”, in particolare quelle della collana di libri “I grandi segreti del cervello” della National Geographic: mi hanno affascinata e conquistata dal primo volume e innescato tutto quel meccanismo che mi ha portato a dirmi nuovamente “forse avrei dovuto iscrivermi a Medicina” — e no, non è la crisi dei 30 anni (di cui abbiamo parlato un po’ qui, con il “condominio dei 30enni”), perché è una cosa che ogni tot mi ritrovo a pensare (forse è un rimasuglio di quella dei 20, però).
Per ora, ho letto solo “La coscienza. La più enigmatica delle funzioni cerebrali”, scritto da José María Valderas e tradotto da Maria Bastanzetti e “La memoria. Le connessioni neuronali che racchiudono il nostro passato”, scritto da Juan Vincente Sánchez Andrés e tradotto da Maria Bastanzetti e Pierpaolo Marchetti.
Ma davvero, mi sono innamorata.
Il prossimo volume che mi aspetta è sul linguaggio, mentre in metropolitana mi sta accompagnando “Sui diritti delle donne” di Mary Wollstonecraft.
E, a proposito di libri, è stata annunciata la trasposizione cinematografica del romanzo “La cronologia dell’acqua” , scritto da Lidia Yuknavitch ed io non vedo l’ora.
Sensibilandia, di nome e di fatto.
Le parole sono il solo modo che conosco per srotolare i gomitoli che abitano le mie città invisibili: le leggo, le scrivo, le ascolto - e così, sempre, le “sento”.
Sono liquide. In movimento, sempre. Mai relegate a una carta stampata o a una voce. O a una email. Cambiano solo forma, prendendo perfettamente il posto che si trovano davanti, come l’acqua, come i gatti. E per quanto tu possa prevederle, programmarle, sono loro, in realtà, a chiamare te.
La magia è che, per ognuno, questa chiamata può dire qualcosa di diverso.
Vi affido queste parole e vi ringrazio tantissimo di avere scelto di leggerle; magari sosteranno un po’ in voi, o forse no, ma mi piace pensare che, in qualche modo, il loro viaggio continuerà. E, se pensate che possano “dire qualcosa a qualcuno”, sarei felice che le condivideste con quella persona.
Amo il contraddittorio, la dialettica e il “mantello della invisibilità” che ci da internet, spesso, e che ci permette di condividere di più, di aprirci di più e, così, di trovare persone con la nostra stessa sensibilità: se avete voglia di “inviarmi il vostro gufo”, rispondere, condividere qualsiasi cosa, dunque, mi trovate “qui” (o sui social).