Inside Out 2 e il doloroso passaggio dalla spensieratezza alla speranza.
L'asse mente-intestino.
A fine giugno sono andata a vedere al cinema Inside Out 2; sebbene mi abbia fatta ridere, provare tanta tenerezza, piangere due lacrime (due di numero, davvero), ed emozionato, il mio consiglio è di guardarlo con la “testa”, lasciando da parte le emozioni che eppure ne sono le protagoniste, perché solo così gli si rende davvero giustizia secondo me.
Come ogni cartone, le sue letture possono variare a seconda dello sguardo — come ogni cosa, in fondo; gli adulti ne coglieranno un livello che ai bambini è ancora meravigliosamente precluso e quegli stessi adulti, a seconda delle proprie esperienze (ed emozioni), rimarranno colpiti dall’uno o dall’altro aspetto.
Quello che, però, secondo me, Inside Out 2 riesce a fare davvero bene è di portare a galla quei messaggi che in altri cartoni sono “subliminali”, perché sono loro i protagonisti: ciò che riguarda le emozioni, in un certo senso la loro ratio, non deve essere interpretato, perché i loro pensieri sono riportati umanamente sullo schermo. Non sono subliminali.
Riley rappresenta il “crescere”, la continua linfa della trama: ma come crescono le emozioni? Perché le emozioni “non possono squagliarsela” — afferma Disgusto nel primo film —, ma non rimangono neanche le stesse.
Per me Inside Out 2 non racconta solo Ansia, ma racconta soprattutto della crescita di Gioia. È la perdita della sua spensieratezza e la nascita della sua speranza: l’una è connaturata all’infanzia (se si ha questa enorme fortuna), l’altra è un verbo, è un atto, una scelta, il più delle volte faticosa.
Se nel primo film Gioia deve imparare l’importanza di Tristezza, di come è legata a doppio filo con questa emozione gemella — “Remember Sadness, wherever I go, you go too.” —, in questo secondo episodio deve fare i “conti” con Ansia.
Ansia è resa benissimo, il suo voler controllare le cose a fin di bene, nutrirsi di “se[…]” per far sì che non si realizzino mai. Gioia, nella sua spensieratezza, non tiene conto di troppe variabili e Ansia è lì, pronta, invece, a considerarle tutte. Ecco che accade che una, due volte, forse anche tre, Ansia ci riesce: le cose vanno lisce e il pericolo è scampato. Forse è un buon meccanismo — ci si dice —, funziona.
E nascono le convinzioni. Guardate Inside Out 2 con la testa per cogliere questa meraviglia, la rappresentazione di una grande verità: siamo fatti di convinzioni, troppe per poterle anche solo riconoscere dentro di noi, e, tra le altre cose, la ripetizione di quello che proviamo, e delle esperienze che facciamo, ne può creare molte, in un certo senso “è convinzione” essa stessa e diventa parte di noi.
Ma l’insieme di quelle convinzioni? Ansia non se ne rende conto, paradossalmente non “pensa”, lei che pensa a tutto, a questo, all’effetto di una, due, tre ecc. convinzioni fondate sul “se”, su una realtà distorta, sull’immaginazione dell’avverarsi di tutte le cose che ci fanno male, per poterle evitare.
Il suo rendersene conto è diventare prigioniera di quello stesso controllo che cerca sempre di avere: un controllo su cui non riesce più ad avere controllo.
Gioia allora dice ad Ansia: “Non puoi decidere tu chi sia Riley, Ansia. Devi lasciarla andare.” e capisce. E cresce.
Perché i ricordi che non erano “di felicità”, Gioia li mandava nel subconscio, decideva “cosa tenere e cosa mandare giù”: tantissime emozioni, dunque, che hanno poi creato quella montagna che si è riversata in Riley nel momento in cui ha avuto l’attacco di panico. Emozioni represse, che non hanno avuto il loro tempo e spazio su cui l’Ansia ha cavalcato.
Perché Ansia è il canale perfetto per tutto ciò che è irrisolto. Crea terremoti e cambia ogni cosa.
La trama della vita di Riley è molto semplice, perché è dentro, inside, su cui bisogna soffermarsi. Su Ansia, certo, ma anche sul viaggio che devono compiere Tristezza, Gioia, Rabbia, Paura e Disgusto per tornare “in Riley”.
Guardate Inside Out 2 con la testa anche per cogliere questo dettaglio: le “vecchie” emozioni compiono un viaggio all’interno della mente di Riley per cercare l’insieme di convinzioni che la ragazza era “prima”, prima che Ansia ne creasse delle nuove e, in un regime totalitario, prendesse il sopravvento. Ma è come andare “per vicoli ciechi”, è faticoso, frustrante, ci si perde continuamente, perché nulla è come prima, tanto che anche Gioia lo ammette e dice “non so cosa fare” e si ferma. Questo è uno dei momenti che mi ha toccato di più, la cruda realtà della capacità di Ansia di spegnere, di mettere in difficoltà, anche l’emozione primordiale della gioia, della propositività, dell’andare avanti sempre e comunque, per quanto sia difficile, della spensieratezza. La cruda realtà di doversi sentire per tanto tempo brancolanti nel buio, prima di “capirci qualcosa”. Sono le altre emozioni ad aiutarla. Anche Tristezza, che a differenza delle altre, non si perde nei meandri della mente di Riley: non ho potuto fare a meno di pensare quanto sia vero, quanto in momenti difficili della vita in cui ci si sente persi, Tristezza sia in fondo sempre lì, a galla.
Le emozioni ritrovano la “vecchia Riley”, ma capiscono che crescere vuol dire lasciarla andare, rendersi conto che non c’è una emozione giusta o sbagliata che deve “governare” sulle altre, che è l’insieme, il loro abbraccio, a rendere chi siamo, che reprimerne una vuol dire creare un cortocircuito dove crediamo di sapere chi siamo, di averne il controllo, forse, ma per il quale, in realtà, ci stiamo solo allontanando da noi stessi.
Siamo più complicati di quello che vorremmo, e va bene così.
“I’m selfish, i'm kind
i need to fit in, but i wanna be myself
i'm a good friend, i'm a terrible friend
i'm brave, but i get scared
i'm strong, but i need help sometimes”
Inside Out insegna che ci vuole una vita a imparare a dialogare con noi stessi e a quanto sia importante.
In un suo post su instagram Ferdinando Cotugno, giornalista di Domani — vi consiglio di iscrivervi alla sua newsletter sulle tematiche ambientali! — scrive:
[…] Inside Out 2 fa piangere gli adulti anche per la bugia che racconta così bene, che la salute mentale può essere una storia a lieto fine, in cui le emozioni invecchiano placidamente imparando a stare alla console in modo ragionevole. E poi l'idea che, altrettanto rassicurante, che tutti hanno emozioni che si somigliano, che si vestono allo stesso modo e hanno gli stessi obiettivi. È il pensiero ingenuo e ottimista del film, che lo rende così prezioso, addomesticare per un'ora e mezza il mistero che ogni altro essere umano è, per sé e gli altri.
Ho condiviso il suo pensiero, con un’aggiunta, però: “Inside Out 2 fa piangere gli adulti anche per la bugia che racconta così bene, che la salute mentale può essere una storia a lieto fine” senza aiuto.
Perché è vero che il lieto fine non esiste, ma la speranza è un dolore che non si arrende. D’altronde questo è qualcosa che ha imparato anche Gioia ultimamente.
L’aiuto è fondamentale, capace di fare la differenza. Capace di tenerti per mano mentre scendi nei meandri della tua mente, nell’angoscia dei vicoli ciechi, nella frustrazione, nei momenti in cui ti fermi.
Capace di fare risuonare le convinzioni che non sono nate per farti “sopravvivere” e di farne nascere altre, in un’opera maieutica che, spesso, ti cambia totalmente.
E allora, secondo me, la vera “bugia” su cui getta la luce Inside Out 2 non è che la salute mentale può essere una storia a lieto fine, ma che alla salute mentale le persone guardano con la stessa tenerezza e comprensione con cui hanno guardato il film.
C’è la scena finale dove Ansia viene fatta sedere sulla sedia “massaggiante”, con una bella tisana calda da sorseggiare… È molto tenera e fa ridere, ho riso anche io con tenerezza, ma non ho potuto fare a meno di pensare al diverso sguardo verso Ansia delle persone nella vita reale. Perché manca quella tenerezza e comprensione — l’ho sperimentato più volte personalmente, il ricevere sguardi ciechi o risate, ma non amorevoli. Se al posto di quella tisana ci fosse un farmaco? E la sedia può essere quella di una terapista… È lo stesso concetto, ma susciterebbe altro, perché il tema di Inside Out è, in fondo, quello del benessere mentale, dove non sono le emozioni a governarci, ma siamo noi a essere “con loro”, ed eppure lo sguardo che le persone riservano a questa tematica nella vita reale non è per niente lo stesso con cui guardano al film.
La bugia di Inside Out 2, per me, è questa: siamo “noi”.
Ma, a proposito di emozioni, sapete che, secondo la medicina orientale, esse sono collegate a più organi del nostro corpo? Il sintomo è un linguaggio dell’emozione.
Anche Riley, d’altronde, quando ha l’attacco di panico, sta male anche fisicamente.
E la nostra stessa mente è collegata a tutto.
C’è, ad esempio, l’asse intestino - cervello: è stato il libro di Claudia Borzacchiello, “L’intestino delle meraviglie”, a cui avevo accennato nella scorsa newsletter, ad introdurmi a questa tematica.
Alimentarsi in modo scorretto equivale a sottoporre il fegato a un lavoro eccessivo; esausto, a un certo punto esso potrebbe smettere di svolgere bene il suo compito e, per l'appunto, lasciare andare le scorie attraverso il sangue, consentendo loro di arrivare fino alla barriera ematoencefalica. Insulti continui possono minarne l'integrità, creando in tal modo dei passaggi tra una cellula e l'altra. E, giunte alla barriera ematoencefalica, le tossine finirebbero per invadere il nostro cervello. Sarebbe come se spruzzassimo un insetticida sulle cellule cerebrali!
[…]
Questi tre organi, apparentemente così lontani tra loro e autonomi l'uno rispetto all'altro, sono in effetti legati in una relazione significativa. Così legati, oserei dire, da influenzarsi a vicenda.
— pg. 89
Trovo estremamente affascinante il mo(n)do in cui siamo collegati. E non vedo l’ora di scoprirne di più. È una lettura che vi consiglio per questi aspetti scientifici.
Visto che si parla di intestino… Concludo, consigliandovi questa ricetta vegana, provata e amata!
Per la colazione di domani è troppo tardi, ma non si sa mai…
Buona notte,
e grazie, sempre.
Sensibilandia, di nome e di fatto.
Le parole sono il solo modo che conosco per srotolare i gomitoli che abitano le mie città invisibili: le leggo, le scrivo, le ascolto - e così, sempre, le “sento”.
Sono liquide. In movimento, sempre. Mai relegate a una carta stampata o a una voce. O a una email. Cambiano solo forma, prendendo perfettamente il posto che si trovano davanti, come l’acqua, come i gatti. E per quanto tu possa prevederle, programmarle, sono loro, in realtà, a chiamare te.
La magia è che, per ognuno, questa chiamata può dire qualcosa di diverso.
Vi affido queste parole e vi ringrazio tantissimo di avere scelto di leggerle; magari sosteranno un po’ in voi, o forse no, ma mi piace pensare che, in qualche modo, il loro viaggio continuerà. E, se pensate che possano “dire qualcosa a qualcuno”, sarei felice che le condivideste con quella persona.
Amo il contraddittorio, la dialettica e il “mantello della invisibilità” che ci da internet, spesso, e che ci permette di condividere di più, di aprirci di più e, così, di trovare persone con la nostra stessa sensibilità: se avete voglia di “inviarmi il vostro gufo”, rispondere, condividere qualsiasi cosa, dunque, mi trovate “qui” (o sui social).
Non ho ancora visto Inside Out 2, ma ho visto molte volte il primo atto, con mia figlia di sei anni. E' stato molto complicato spiegarle certe dinamiche delle emozione e non so quanto abbia recepito. Oltre a non dare per oro colato, quello che gli autori hanno rappresentato nelle emozioni e nei comportamenti (es: è giusto in un film per bambini, far vedere che si scappa di casa e si va in giro da soli?).
Come si evince dal tuo racconto credo che, nonostante la maschera da cartone animato, sia un film diretto agli adulti. Avresti una chiave di lettura per aiutare alla comprensione dell'Ansia, per come rappresentata nel film, una bambina di sei anni? Così mi preparo per quando lo vedremo insieme. Grazie