"Lasciarsi alle spalle" versioni di [...].
Versioni passate, possibili, versioni da perdonare e versioni da diventare per ritrovare l'autenticità.
Raggiungere l’altra sponda di una bolla, la prima di una matrioska, e ritrovarsi in un corridoio che si fa museo — mi chiedo se siano i quadri a essere appannati o il mio sguardo;
un museo di strade che ho percorso e sono diventate impraticabili — macerie vive a farsi ostacoli animati, come in quei videogiochi con cui giocavo con le mie sorelle da bambina;
un museo di strade che avrei potuto percorrere, fantasmi che si possono solo idealizzare — restare a guardarli, meravigliosamente evanescenti, come luci in autostrada, un canto delle sirene difficile da evitare.
Il canto si fa ragnatela di città invisibili, e sei ragno, bambina, e sei preda, in una di quelle danze dove non riesci a fermarti perché hai delle scarpette maledette e i piedi continuano a muoversi, ma non vanno da nessuna parte.
Non so dove andare.
L’aria di quel tunnel soffoca le gambe; mi sdraio sul pavimento lucido da essere quasi inquietante: sono stanca dei suoi riflessi, che poi sono i miei, e di quei quadri e il soffitto è una tela nera che si finge coperta.
Penso che potrei farmi bozzolo di buio.
Non so se è il resto ad appannarsi o sono io che sfumo via;
sono io che sfumo via?
“Cammina, bambina, alzati”. Non sono una bambina — vorrei urlare, ma non riesco.
Persefone mi guarda, materna nel non volere che altri facciano il suo errore, aspettando una risposta, ma io sento ancora quel canto.
Quando vado al cimitero, verso l’ora di chiusura, suona sempre una campanella, urge a uscire dai cancelli, a tornare alla vita, che a parlare con chi hai perso rischi di perdere la cognizione del tempo.
I minuti si trasformano in un labirinto che non riesci più a contare.
Da quanto tempo sono qui?
Non c’è campanella in questa galleria. Ma a vagare nell’oltretomba di quello che eri, rischi di perdere quello che potresti essere.
Devi lasciare la tua Euridice passata e non voltarti più indietro.
— Antri di cuore,
come un museo,
di parole
che posso visitare solo io.
“Consiglio della settimana” — due film: “Sliding Doors” del 1998 con Gwyneth Paltrow e “Wild” del 2014 con Reese Witherspoon (che ho amato moltissimo); entrambe le storie (la seconda, basata su una storia vera e tratta da un libro — ovviamente, in wishlist) affrontano la tematica delle “versioni di se stessi”, delle versioni possibili, di quella che, magari, ci mettiamo in cammino per cercare, quando ci sentiamo persi, e di quella che, forse, dobbiamo perdonarci, con cui dobbiamo scendere a patti per (ri)trovarci davvero.
“Non si può sapere perché accade una cosa e non un’altra, quale forza ci guida, quale forza ci distrugge, quale forza ci fa crescere, o morire, o prendere un’altra strada. E se fossi riuscita a perdonarmi?”
— Wild (2014)
“sensibilando”
— @sensibilandia, di nome e di fatto.
“Cose belle” — diventare una “versione di Babbo Natale”, ritrovando la versione più autentica del dono (dal 15 Novembre): il progetto “Nipoti di Babbo Natale” (dell’associazione Un Sorriso In Più Onlus).
Si tratta di una iniziativa alla sua quarta edizione la cui bellezza e forza sta nella possibilità, che viene data agli anziani ospiti di una casa di riposo, di poter esprimere un desiderio — “in una fase della vita in cui sono principalmente altri a decidere” per loro — e nel vederlo realizzato, grazie a un estraneo che “si fa nipote” e sceglie di fare questo dono: attraverso il sito, dal 15 Novembre, sarà possibile “prenotare un desiderio”, sia esso un regalo o una esperienza (c’è anche la possibilità di utilizzare diversi filtri nella ricerca, come quello per prezzo o località delle strutture che vi aderiscono), e mettersi poi in contatto con la casa di riposo per organizzare la consegna che potrà avvenire personalmente o meno (con possibilità di “partecipazione a distanza”).
Le parole che accompagnano questi desideri (ho avuto modo di leggerne alcuni, ma non di partecipare, essendo arrivata tardi) colpiscono per la loro autentica semplicità, quella capace di darti “un pugno nello stomaco” in un periodo dell’anno, come quello pre-natalizio, dove spesso perdiamo di vista il vero significato dello scambiarsi i regali, dove rischiamo di spogliare questa consuetudine del messaggio che vuole trasmettere, dove la frenesia ci fa dimenticare che, davvero, è il pensiero che conta, perché è come questo prende vita, come “c’è” e si fa spazio nel tempo e trasforma il tempo “proprio” in tempo dedicato in modo significativo ad altri, ad essere il vero regalo che un oggetto può solo veicolare e ricordare.
Possiamo dare anche ai regali la loro versione migliore.
Parole bellissime che ho letto oggi — “la diversità”, il fatto che non siamo tutti versioni uguali all’altro, è “ciò che ci unisce davvero” e prenderci cura di questo, questa è la vera normalità che dovrebbe interessarci.
“[…] che la diversità è bellezza, sì,
ma anche fatica.”
Sensibilandia, di nome e di fatto.
Le parole sono il solo modo che conosco per srotolare i gomitoli che abitano le mie città invisibili: le leggo, le scrivo, le ascolto - e così, sempre, le “sento”.
Sono liquide. In movimento, sempre. Mai relegate a una carta stampata o a una voce. O a una email. Cambiano solo forma, prendendo perfettamente il posto che si trovano davanti, come l’acqua, come i gatti. E per quanto tu possa prevederle, programmarle, sono loro, in realtà, a chiamare te.
La magia è che, per ognuno, questa chiamata può dire qualcosa di diverso.
Vi affido queste parole e vi ringrazio tantissimo di avere scelto di leggerle; magari sosteranno un po’ in voi, o forse no, ma mi piace pensare che, in qualche modo, il loro viaggio continuerà. E, se pensate che possano “dire qualcosa a qualcuno”, sarei felice che le condivideste con quella persona.
Amo il contraddittorio, la dialettica e il “mantello della invisibilità” che ci da internet, spesso, e che ci permette di condividere di più, di aprirci di più e, così, di trovare persone con la nostra stessa sensibilità: se avete voglia di “inviarmi il vostro gufo”, rispondere, condividere qualsiasi cosa, dunque, mi trovate “qui” (o sui social).
Buon fine settimana (perdonate l’anticipo) e un abbraccio.