Lo sai che nel 1999 il geologo Michel Siffre, allora 60enne, ha salutato il nuovo millennio a 900 metri di profondità in una grotta? Ha aperto lo champagne e ha festeggiato, da solo.
Mentre il resto del mondo…
Mentre per il resto del mondo era già il quattro gennaio e capodanno già un ricordo. Il 2000 era iniziato, come potremmo dire, “da mo’”.
Per Michel il futuro diventava in un fugace momento l’adesso, per poi svanire nel passato.
Per il resto del mondo, passato lo era già.
Passato, presente, futuro.
Il tempo è qualcosa di misterioso e, come tale, affasciante e spaventoso insieme.
Michel Siffre fece quella stessa esperienza di isolamento anche molti anni prima, quando, ventitreenne, decise di vivere per due mesi in una caverna, conducendo un esperimento con una spedizione sulle alpi francesi.
Per due mesi visse lontano dalla gente, senza alcuna indicazione del tempo, persino di quella del tramontare e del sorgere del sole.
Il 31 dicembre di ogni anno il nostro pianeta compie un altro giro attorno al sole.
Lo stesso sole che sorge e tramonta, che scandisce il tempo naturalmente nel giorno e nella notte; tenendone traccia, anche senza un orologio, potremmo dire “che giorno è”.
Così abbiamo creato orologi e calendari, in modo da organizzarci, coordinarci, vivere e creando così la civiltà.
“Secondo una teoria, miliardi di anni fa, quando sono nate le primissime forme di vita, le cellule che si dividevano durante il giorno venivano danneggiate dai raggi ultra violetti del sole, mentre quelle che impararono a dividersi di notte sopravvissero: tenere traccia del tempo potrebbe essersi rivelato essenziale per l’evoluzione della vita sulla terra.”
Senza questo aiuto del sole, però? Come ne teniamo traccia?
L’esperimento compiuto ha permesso anche di capire che del tempo ne tiene traccia in un modo il nostro corpo e in un modo la nostra mente.
Il nostro corpo, come quelli di tutti i mammiferi — ma ci si può riferire persino alle piante e ai batteri, ha un orologio circadiano, così chiamato in quanto suggerisce approssimativamente l’ora sulla base di 24 ore. Il principale si trova nell’ipotalamo e sincronizza tutti gli altri micro orologi del nostro corpo, conferendo un ritmo alle nostre funzioni corporee.
“Si chiama orologio circadiano […] Anche la maggior parte delle nostre cellule lo ha; producono proteine speciali per indicare il tempo: quando si raggiunge un certo limite, quelle proteine possono interrompere la propria sintesi; le proteine sono poi distrutte e la cellula riparte, si riaccende. Questo ciclo ricomincia ogni 24 ore.”
La capacità della mente di tenere traccia del tempo è invece ben diversa; quella del Michel 23enne si era persa un mese intero: quando la sua squadra l’ha contattato per dirgli che i due mesi erano scaduti, lui era convinto che ne fosse passato solo uno.
Michel ha poi affermato in una intervista: “Quando sei circondato dalla notte, la memoria non coglie il tempo: dimentichi tutto.”
Per lui il tempo era passato più lentamente di quanto non fosse: la notte, la routine, lo hanno distorto.
Questa distorsione del tempo è stata colta anche durante la quarantena; un sondaggio su 700 persone condotto nel Regno Unito ha mostrato che l’81% degli intervistati l’ha percepita. E così è stato anche in altri paesi.
“La nostra capacità di tenere traccia del tempo, che passa giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, è un’altra storia.”
“Come passa veloce il tempo, quando ci si diverte” è una comune espressione che ci fa capire quale altro fatto entri in gioco: le emozioni.
Le emozioni possono distorcere la nostra concezione del tempo. Non hanno un impatto sui nostri orologi circadiani, ma pare che si sia un altro orologio.
“Una sorta di cronometro che traccia deliberatamente il tempo per noi, ma questo non è un meccanismo, somiglia più a un essere umano: quando è annoiato o solo, conta ossessivamente ogni secondo, quando si sente stressato può contarne anche due anziché uno; d’altro canto, quando siamo rilassati, impegnati o in compagnia, cioè quando la nostra mente fa anche altre cose, salta molti secondi e il tempo sembra volare.”
Questa sorta di secondo orologio interno, diverso da quello circadiano e che non percepisce il tempo allo stesso modo, non sappiamo dove si trova e non abbiamo un modo diretto per percepirlo.
“Dove si trova? Ci abbiamo provato con le risonanze magnetiche e chiedendo alle persone di contare, ma non c’è alcuna area del cervello che si illumina sistematicamente. La nostra percezione è in ogni zona del cervello: quindi parliamo di concezione del tempo, ma non abbiamo un organo atto a rilevarlo. Non esiste un modo diretto di percepirlo.
Per molti aspetti, la concezione del tempo è una astrazione, un costrutto della mente umana.”
Questa nostra concezione personale del tempo, unita all’inanellarsi del giorno e della notte, scandisce la nostra vita. E finisce in un certo senso, alcune volte, quasi a “giudicarla”, quando è influenzata da costrutti sociali fatti di tappe, quando l’avvicinarsi di un giorno come capodanno costringe quasi a fare dei bilanci, spesso solo sulle prime, però, tarati.
Se da una parte c’è l’affascinante tematica del tempo come dimensione, che fa del presente, passato e futuro quella che Einstein definiva “una testarda e ostinata illusione”, è anche vero che, come umani, abbiamo la consapevolezza del passato, la sua memoria — quella che ci ha consentito di essere lungimiranti e che dovrebbe consentirci, così, di sopravvivere.
Il passato è una finestra temporale a cui possiamo affacciarci.
Michel, nella grotta, mentre il suo orologio circadiano proseguiva e così, all’esterno, anche il giorno e la notte si alternavano, ha sentito scorrere il tempo più lentamente. Questa sua concezione del tempo è stata sì influenzata dalla mancanza di indicazioni, ma anche dalla mancanza di vita da ricordare.
“La percezione su quanto scorra veloce il tempo ha a che fare con quanto riusciamo a notare: ai bambini non sfugge niente, vivono il presente e pensare che ogni momento conta da l’impressione che il tempo duri di più, rallentando ogni cosa.”
“La variabile più interessante che ho studiato è stato il livello di soddisfazione delle interazioni sociali, perché non importava il numero di persone con cui si viveva [durante la quarantena]: contava solo quanto ci si sentisse soddisfatti con le relazioni sociali.”
La terra compie giri intorno a sole, questo sorge e tramonta e gli orologi ci servono per organizzarci. Questi sono aspetti di cui siamo a conoscenza, così come sappiamo di perderci nel momento in cui, seguendo le fila (o tentando di farlo) della teoria del tempo come dimensione — che, come tale, si potrebbe percorrere, andando avanti e indietro —, ci chiediamo come ciò potrebbe essere possibile, immaginando quindi che passato e futuro siano realtà, quanto il presente, punti in un’unica registrazione che si può percorrere come un film.
“Oggi molti scienziati credono che percepiamo solo una minuscola parte di ciò che il tempo è veramente e che la realtà del tempo sia qualcosa di molto più grande e simile allo spazio.
In realtà noi percepiamo già il tempo come se fosse spazio, anche se questo dipende dalla nostra cultura o, meglio, dalla nostra tradizione di scrittura: se si vive in occidente, si immagina che il tempo si muova da sinistra verso destra; in Israele, il passato è a destra e il futuro è a sinistra, perché è così che si iscrive in ebraico e via dicendo.
Concepiamo tutti il tempo come se avesse una direzione, come delle coordinate su una mappa.
Se lo spazio ha tre dimensioni, possiamo pensare al tempo come se fosse la quarta.
Queste quattro dimensioni insieme formano il cosiddetto spazio-tempo, dove spazio e tempo sono intrecciati in un unico tessuto elastico. Un tessuto che è distorto in ogni suo punto; la materia e l’energia possono piegare lo spazio e anche più significativamente piegare il tempo: sulla terra, il tempo scorre un po’ più lentamente rispetto allo spazio e scorre più lentamente ancora sul sole — rallenta anche a velocità molto elevate.
Ma tutto questo avviene su una scala troppo grande perché noi, minuscoli umani, possiamo percepirlo.
Negli anni 70 abbiamo inventato degli orologi atomici sufficientemente precisi da testarlo: sono stati messi su un aereo che ha volato intorno al mondo e quegli orologi indicavano, di fatto, che era trascorso meno tempo.
Ma se il tempo si muove più lentamente a velocità più elevate, ciò significa che anche una persona invecchierebbe più lentamente.
Ma se il tempo è una dimensione, proprio come lo spazio, e ci si può muovere verso destra o sinistra, in qualsiasi direzione spaziale, allora perché non ci possiamo spostare nel tempo, andando cronologicamente più avanti e più indietro? Per quel che sappiamo non è possibile andare indietro nel tempo. Ma se tutto lo spazio intorno a noi, avanti e indietro, è reale quanto il punto in cui ci troviamo, allora il passato e il futuro dovrebbero essere reali tanto quanto il presente, come se fosse tutto registrato: le cose che sono già accadute e quelle che non sono ancora accadute.
Non si può dire che stia succedendo tutto adesso, perché solo adesso è adesso.
Come diciamo che le cose che accadono avvengono da qualche parte, tutto ciò che appartiene al passato e al futuro avviene in qualche momento.
E se possiamo mettere gli orologi sugli aerei e dimostrare che il tempo si distorce, non riusciamo a spedire quegli aerei nel passato e nel futuro. Non possiamo dimostrare che sono reali.”
Questi aspetti non dipendono da noi. Questo “tempo” è fuori dal nostro controllo.
Spesso, anche le emozioni non lo sono, e così ciò che le determina.
Eppure c’è quel secondo orologio in noi, un orologio che non riusciamo a collocare, ma percepiamo. E forse è quell’orologio a cui guardare e non al “calendario dei buoni propositi”.
Possiamo guardare la lista dei buoni propositi e sentirci afflitti o meno, sovrapporre la nostra età a quella dei nostri coetanei e vedere quante “caselle spuntate”, che la società lega al “nostro tempo”, abbiamo; eppure se due persone avessero spuntato le stesse caselle, potrebbero comunque avere una diversa concezione del tempo.
Le persone con cui condividiamo il nostro tempo, la soddisfazione che nel tempo traiamo, indipendentemente da cosa stiamo facendo, questi sono i fattori che influiscono sulla nostra concezione del tempo ed eppure lasciamo, spesso, soprattutto a fine anno, che siano quelle caselle, spuntate o meno, a decretare, come in un tribunale materialistico, se siamo stati “bravi” — perché usare il termine “felici” allontana troppo dal concetto di produttività (e sia mai).
Ciò che ricordiamo è ciò che, quel nostro orologio emotivo, indipendentemente da tutto, sente di voler rendere coordinate temporali.
Così, controllare il tempo significa viverlo davvero, ma viverlo con il nostro personale significato, e contenuto, emotivo.
E, in questo momento storico, quando tante cose non sono possibili, forse questo lo stiamo capendo davvero: che i giorni si susseguono, magari anche i lavori portati a termine, i successi, ed, eppure, molti direbbero di essere “fermi al 2019” perché molti ricordi non si sono potuti formare e altri, invece, si vorrebbero dimenticare. Perché la notte può essere un buio legato a una grotta, ma anche psicologico. Il tempo è passato velocemente e non perché ci si è divertiti, ma perché quelle coordinate emotive da ricordare, magari, non ci sono state.
Il mio auguro per questo 2022, per l’inizio di un nuovo giro della terra, per il futuro, per questo costrutto sociale che riusciamo solo così a capire, per qualsiasi cosa sia, sono tante coordinate emotive da fissare e le possibilità e il coraggio di ascoltare e dialogare con quell’orologio emotivo che abbiamo, misterioso quanto il tempo stesso, che forse dice quello che vogliamo più di quanto pensiamo.
Non ho mai amato Capodanno; mi è capitato di festeggiarlo a casa, con amici o in famiglia, o fuori, ma sapete qual è il capodanno che ricordo di più? Uno di quando ero bambina, e non saprei dirvi neanche di quale anno, trascorso in montagna: ero con mia sorella, eravamo con un gruppo di bambini di diverse età; ci hanno permesso di uscire da soli e ci siamo infilati di straforo in una pista dove si potevano prendere delle gomme da usare per scivolare sulla neve — sostanzialmente era una collinetta di neve recintata — per poi passare lì tutto il tempo a lanciarci e slittare. Non ricordo che ore fossero, non ricordo neanche i volti di quei bambini — e sono persone che poi non ho più visto, ma ricordo vividamente quel capodanno per la sensazione che ho provato in quel momento: quella sensazione lo ha scandito, ha scandito quel tempo.
Certo, crescendo diventa più difficile. Come tutto. Come il Natale, di cui abbiamo parlato nella scorsa “cartolina”.
Da bambini ogni cosa è nuova, impariamo tantissimo, ignoriamo tantissimo, e questo si trasforma in ricordi che ci fanno sentire l’infanzia come un periodo felice e più lungo; quelle stesse dimensioni di lettura che la vita ci da crescendo, invece, rendono più difficile sentire quella leggerezza che rende tutto da ricordare e che rende più facile avere e manifestare, nonché proteggere, quasi una sorta di “libertà alla serenità” — come quando da bambini decidevamo di giocare per ore sul tappeto — anche perché spesso non sappiamo quale questa sia per noi. Compromessi, prese di consapevolezza, la vita che accade, quella rivelata: tutte queste dimensioni ci rendono meno permeabili a quelle coordinate emotive.
Prima di capire cosa scrivere su un foglio, quali note segnare sul pentagramma del nostro tempo, perché la musica non sia solo un sottofondo, è quel foglio che dobbiamo cercare.
Quel senso di leggerezza, di “casa”, che spazzi via ogni (o quasi) irrequietudine. Che si faccia bussola per quelle coordinate, in un mondo di orologi.
E allora io vi auguro di trovare la vostra Itaca, qualsiasi forma essa assuma per voi.
Di mettervi in viaggio, se non siete già partiti.
Anche se può essere estremamente doloroso.
Di svelare così il linguaggio del vostro orologio emotivo e sapere verso quali coordinate emotive andare perché il tempo non sia solo tempo, un inanellarsi di giorni, ma anche vita.
“sensibilando” / il “tema sensibile” di dicembre.
La sensibilità al tempo.
Le parti in corsivo e citate, così come le informazioni della prima parte di questa nostra cartolina, sono tratte dall’episodio “Il tempo” della serie tv Netflix “In poche parole”: si tratta di brevissimi documentari che vogliono gettare delle linee guida, suscitando delle riflessioni (come questa), sulle più varie tematiche. Per ora ne ho visti tre diversi e vi consiglio davvero questo format.
Tra i libri che ho letto quest’anno, i miei umili consigli:
— “Vicino al cuore selvaggio” di Clarice Lispector, per una esperienza di scrittura “liquida” davvero molto particolare dove a essere il protagonista è il flusso di coscienza.
— Per il genere YA, la duologia “Wolf” di Rayan Graudin per la capacità di trattare, in linea con il target di riferimento, la tematica, spesso adolescenziale (ma non solo), della ricerca di una propria identità e per l’ipotesi storica (cosa sarebbe successo se Hitler avesse vinto la guerra?) da cui parte.
Il “mio libro del 2021”, sebbene non l’abbia ancora finito, è “Una vita come tante” di Hanya Yanagihara: sento che è una di quelle letture che consiglierei a cuore aperto, ma a “condizioni”, ma non posso non citarlo perché oramai è diventata una smagliatura sul mio corpo da lettrice.
Dicembre, dall’alto, come un fiume, lo srotolarsi del passato, del presente e del futuro.
— Le lettere delle scorse settimane.
Una cartolina dal futuro (?)
Sensibilandia, di nome e di fatto.
Le parole sono il solo modo che conosco per srotolare i gomitoli che abitano le mie città invisibili: le leggo, le scrivo, le ascolto - e così, sempre, le “sento”.
Sono liquide. In movimento, sempre. Mai relegate a una carta stampata o a una voce. O a una email. Cambiano solo forma, prendendo perfettamente il posto che si trovano davanti, come l’acqua, come i gatti. E per quanto tu possa prevederle, programmarle, sono loro, in realtà, a chiamare te.
La magia è che, per ognuno, questa chiamata può dire qualcosa di diverso.
Vi affido queste parole e vi ringrazio tantissimo di avere scelto di leggerle; magari sosteranno un po’ in voi, o forse no, ma mi piace pensare che, in qualche modo, il loro viaggio continuerà. E, se pensate che possano “dire qualcosa a qualcuno”, sarei felice che le condivideste con quella persona.
Amo il contraddittorio, la dialettica e il “mantello della invisibilità” che ci da internet, spesso, e che ci permette di condividere di più, di aprirci di più e, così, di trovare persone con la nostra stessa sensibilità: se avete voglia di “inviarmi il vostro gufo”, rispondere, condividere qualsiasi cosa, dunque, mi trovate “qui” (o sui social).
Buon fiume,
un abbraccio.