Feste e balli, fantasie
É il ricordo di sempre
Ed un canto vola via
Quando viene dicembre
Sembra come un attimo
Dei cavalli s'impennano
Torna quella melodia
Che il tempo portò via
Nella cassetta delle lettere, oggi,
una cartolina dal passato (2020)…
“Mamma, senti? C’è profumo di vaniglia!”; lo esclamavamo io e mia sorella, annusando l’aria negli spessi pigiami già natalizi, appena Novembre, come spinto di fretta in una coda alle poste, lasciava spazio a Dicembre.
E’ sempre stato un po’ derubato, a pensarci, Novembre, perché le ultime settimane è sempre un prepararsi a quel mese in cui tutti diciamo “l’anno prossimo mi sbrigo prima con i regali di Natale, non ce la faccio più” oppure “non ho per niente voglia di fare quella cena”, senza sapere quanto eravamo tremendamente fortunati, e forse quest’anno lo stiamo capendo davvero.
Sentivamo profumo di vaniglia, anche se ovviamente non c’era. Ma, tra le tante cose che mia madre mi ha dato in dono, una delle più belle, delle più calde e abbaglianti nei momenti di buio, anche quel buio denso e appiccicoso, è stato regalarmi, regalarci, una tradizione, una di quelle che ti fa tornare piccola appena il calendario segna il 1 dicembre, una di quelle che la vedi andare avanti negli anni, tramandando ogni gesto di affetto che vi è intriso, come una pianta rampicante sui rami della tua famiglia, come l’amore di un papà che si intreccia insieme ai capelli della figlia che cerca di raccogliere in una acconciatura; e, se nel mentre lo sguardo da bambina si affievolisce, lo spazio si colma di un affetto e di una gratitudine enorme. Se ci “comportavamo bene” - che è un termine che mi fa tanto sorridere, ora - arrivavano gli "angioletti" durante la notte e ci lasciavano sul comodino un piccolo dono, che fosse un cioccolatino, un pacchetto di figurine, una caramella. Ricordo - la posso proprio sentire ora, adesso - l’eccitazione che provavo non appena, aperti gli occhi la mattina, mi “ricordavo” e portavo lo sguardo al comodino e, vicino alla mia sveglia color mela dell’Ikea, c’era il mio piccolo dono: e allora correvo, pieni nudi sul parquet, da mia sorella e, aprendo la manina, ci mostravamo cosa avevamo ricevuto. Ma, in fondo, lo avremmo dovuto sapere, perché nell’aria, sapete, c’era il profumo di vaniglia ed è di questo che profumano gli angioletti.
Con il tempo, gli angioletti “hanno iniziato ad andare a dormire prima” di noi e mi ricordo le mattine in cui mi alzavo e dicevo a mia mamma, scherzando, “ma gli angioletti hanno scioperato?” Così gli angioletti si sono ingegnati; andavano a letto prima, ma sbucavano dopo: il dono era in un cassetto, sul ripiano del bagno, sul letto la sera, a tavola. Delle volte c’era un mucchietto, perché erano “in ritardo” con il lavoro e facevano gli straordinari.
Da qualche anno, faccio il “turno di notte” anche io, a volte: cammino sempre a piedi nudi, sempre con qualche dono nella mia mano - che forse non è più così piccola, ma capace di toccare allo stesso modo -, ma vado in stanza di mia madre e le lascio, soprattutto al suo compleanno, che cade a Dicembre, qualcosa sul comodino. E, accanto al ricordo di quanto bambina, appena realizzavo di essere sveglia, mi buttavo sul comodino, adesso ho il ricordo di vedere mia mamma dormire e poi sorridere, mentre socchiudo la porta e vado in camera mia.
Regalare una tradizione natalizia, da tramandare, da tessere con quel qualcosa in più che ognuno di noi porta, è qualcosa di meraviglioso.
Perché io, vi assicuro, a Dicembre posso ancora sentire il profumo di vaniglia.
— 9.11.2020
“Consiglio della settimana”: se non avete già avuto modo di vederlo, “Piccole Donne” (2019), diretto da Greta Gerwig, è da poco disponibile su Netflix e merita assolutamente di essere visto: inoltre, è anche uno di quei film che spesso si associa al Natale per la celebre affermazione di Jo “Natale non sarà Natale senza regali”.
Due ricordi: quando, da bambina, mi arrampicavo sulla magnolia in giardino, creavo con una coperta un “sedile”, complici diversi rami dell’albero che formavano una seduta quasi naturale, e leggevo il libro; infine, questa trasposizione di “Piccole Donne” è stato l’ultimo film che ho visto “prima di”, prima che anche il cinema diventasse una delle tante cose che non dovremmo più dare per scontate — sedersi, accanto a sconosciuti, “vedere una Storia”, assieme, condividerla ed eppure leggerla ognuno in un modo diverso.
“Cose belle”: il calendario dell’avvento digitale di Oscar Vault con la possibilità, per un’ora ogni giorno, di scaricare gratuitamente un ebook di una delle collane Oscar Fantastica, Fabula, Draghi, Ink.
Ah, e i gatti non hanno ancora buttato giù alcuna decorazione natalizia.
“Cose libresche”.
Ho finito “La saga dei tre regni”, serie di sei libri (sono stata attratta proprio dalla sua lunghezza) scritta da Morgan Rhodes; personalmente, penso che leggerò YA anche quando di young non avrò proprio più niente — è un genere che ha, per me, un significato particolare e, inoltre, sono convinta che “YAando si impara”, che sia infatti un genere che viene troppo sottovalutato quando, invece, può avere un forte simbolismo educativo dietro —, ma questa serie la consiglio (agli adolescenti o a chi ami gli YA e in versione digitale) con dei grossi “ma”: la consiglio per chi vuole una saga leggera e lunga, che sia in grado di intrattenere senza pretese e sia basata prevalentemente sulle relazioni interpersonali; per chi sia disposto a "mandare giù" qualche dialogo troppo sdolcinato (per fortuna la scrittura è molto scorrevole e priva di descrizioni che possano appesantirla; inoltre, ogni capitolo è scritto dal punto di vista di un personaggio e questo snellisce molto la lettura) o molto semplice e legga i libri prendendoli per quelli che vogliono essere, senza fare paragoni con altre saghe.
Non la consiglio a chi legge solo YA dalla struttura complessa, dove l'avventura o l'azione sono i veri protagonisti, così come il worldbuilding (qui c’è ed è chiaro, ma molto semplice) e dove il simbolismo che c'è dietro è ben strutturato e profondo. Inoltre, sono pochi i personaggi davvero ben caratterizzati (a dire il vero, solo due, a mio avviso) e questo fa sì che, nel complesso, non risultino ben differenziati (in particolare modo le figure femminili che sembrano tutte animate dallo stesso fuoco — a questo proposito, poi, viene dato un ruolo eccessivo e irrealistico alla bellezza femminile: non so quante volte ho letto che le protagoniste erano bellissime e avevano “lunghi capelli che scendevano fino alla vita in morbide onde”, ma ho alzato al cielo gli occhi un numero imprecisato di momenti).
Passando dalla fantasia alla cruda realtà (cosa che faccio spessissimo nella lettura),
come vi avevo anticipato, sto leggendo e amando, nonostante trascini in me onde che non riescono a trovare riva (ma i libri così si amano anche per questo), “Una vita come tante” di Hanya Yanagihara (tradotto da Luca Briasco per la casa editrice Sellerio): la scrittura, le riflessioni che la lettura continua a suscitare, senza avere la pretesa pedagogica di farlo, i temi trattati… Sono davvero troppi per poterne scriverne ora, ma lo farò sicuramente (e, probabilmente, dovrete perdonarmi per la lunghezza della newsletter a questo libro dedicata); intanto, lascio qui sotto l’ultimo commento che ho scritto al riguardo.
È troppo lungo, questo libro, e il dolore preme già così tanto a pagina 223. Preme, ma sembra quasi un tradimento interrompere la lettura: “Non posso abbracciarti, Jude, e allora ti leggo. Non vado via.”
Sensibilandia, di nome e di fatto.
Le parole sono il solo modo che conosco per srotolare i gomitoli che abitano le mie città invisibili: le leggo, le scrivo, le ascolto - e così, sempre, le “sento”.
Sono liquide. In movimento, sempre. Mai relegate a una carta stampata o a una voce. O a una email. Cambiano solo forma, prendendo perfettamente il posto che si trovano davanti, come l’acqua, come i gatti. E per quanto tu possa prevederle, programmarle, sono loro, in realtà, a chiamare te.
La magia è che, per ognuno, questa chiamata può dire qualcosa di diverso.
Vi affido queste parole e vi ringrazio tantissimo di avere scelto di leggerle; magari sosteranno un po’ in voi, o forse no, ma mi piace pensare che, in qualche modo, il loro viaggio continuerà. E, se pensate che possano “dire qualcosa a qualcuno”, sarei felice che le condivideste con quella persona.
Amo il contraddittorio, la dialettica e il “mantello della invisibilità” che ci da internet, spesso, e che ci permette di condividere di più, di aprirci di più e, così, di trovare persone con la nostra stessa sensibilità: se avete voglia di “inviarmi il vostro gufo”, rispondere, condividere qualsiasi cosa, dunque, mi trovate “qui” (o sui social).
Buona domenica, un abbraccio
e un primo biscotto natalizio.